Valore in RSA

novità dal network delle RSA toscane

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a cura di Agenzia regionale di sanità Toscana

COVID-19, come proteggere le case di cura e le lungodegenze. Revisione rapida delle evidenze internazionali

La pandemia da COVID-19 ha evidenziato l’estrema vulnerabilità delle persone anziane e di tutti coloro che risiedono in strutture di lungodegenza creando un urgente bisogno di politiche e interventi basati sulle evidenze scientifiche al fine di proteggere adeguatamente i residenti.

Uno studio, pubblicato sulla rivista Jamda, ha lo scopo di fornire una sintesi delle evidenze per supportare le decisioni organizzative

La revisione narrativa rapida si pone l’obiettivo di indagare sulle strategie per prevenire o mitigare la trasmissione del SARS-CoV-2 all’interno delle strutture residenziali. I partecipanti allo studio sono sia i residenti che lo staff delle strutture di lungodegenza e delle case di cura.
 
La revisione si basa sulla ricerca sistematica di studi in tre principali database: PubMed/Medline, Cochrane Library e Scopus. Gli studi inclusi sono quelli che descrivono le strategie potenzialmente più efficaci, mentre gli esclusi sono quelli che non riportano evidenze empiriche. La qualità degli studi inclusi si basa sul loro disegno. I dati sono estrapolati dai report pubblici e sintetizzati narrativamente utilizzando tabelle di dati e riassuntive.
 
La ricerca ha portato in evidenza 713 articoli, di cui 80 descrivono i 77 studi che sono stati scelti come campione. La maggior parte sono osservazionali, non randomizzati e non controllati, solo 4 sono revisioni sistematiche di letteratura. Un solo studio (di coorte retrospettivo) è stato condotto in Italia.
 

Dalla revisione emergono alcune strategie potenzialmente efficaci

  • Approccio multifocale alla malattia infettiva. Gli articoli riportano che un approccio multiplo e su più fronti sia utile per gestire il rischio e la potenziale comparsa di focolai. Gli approcci dovrebbero includere la combinazione di diverse pratiche di controllo delle infezionisorveglianza sanitariamisure di contenimento (fornitura e utilizzo dei dispositivi di protezione individuale - DPI), e il supporto sia amministrativo che politico. Fondamentale è una continua e costante comunicazione che porta a risposte collaborative tra i differenti livelli. La natura osservazione e retrospettiva degli studi rende la presunta efficacia limitata.
  • Test seriati a residenti e staff. 36 articoli hanno descritto lo screening attraverso tampone naso-faringeo come fondamentale, accompagnato all’applicazione di misure di contenimento, tra cui l’isolamento singolo o di coorti di casi positivi fino alla negativizzazione. Alcune strutture utilizzano i test su residenti e staff come indicatore di efficacia del sistema di prevenzione e controllo delle infezioni.
  • Confinamento dello staff all’interno della struttura. Uno studio preso in esame su 17 strutture francesi riferisce degli effetti dell’isolamento dello staff e dei residenti per più di una settimana all’interno delle strutture. Queste strutture hanno riportato un tasso molto basso sia di mortalità che di infezioni da COVID-19, tra residenti e staff, rispetto ad altre strutture nazionali in sorveglianza non sottoposte ad isolamento.
  • Telemedicina. Gli studi condotti negli USA e in Israele hanno valutato come utile l’utilizzo di applicazioni tecnologiche a supporto delle pratiche di prevenzione e controllo delle infezioni. La telemedicina favorisce e incentiva l’approccio multidisciplinare e permette di raggiungere le strutture in tempo reale e di monitorarle.
  • Precauzioni e controllo dei visitatori. Le restrizioni legate all’accesso dei visitatori sono sicuramente strategie utili a ridurre l’introduzione di Sars-Cov-2 all’interno delle strutture. Studi condotti in Germania e ad Hong Kong vedono una correlazione negativa tra le restrizioni a cui vengono sottoposti i visitatori e la comparsa di nuovi casi d’infezione (maggiori sono le restrizioni, minori sono i nuovi casi). Le restrizioni sono legate alla frequenza, durata e volume delle visite, all’igiene delle mani dei visitatori, allo screening di sintomi e rilevazione della temperatura, alla distanza sociale e all’utilizzo delle mascherine. 
  • Ambiente e ventilazione. Un report sulle strutture tedesche ha evidenziato come, tra i residenti e lo staff di diversi reparti, nonostante la standardizzazione delle misure di prevenzione e controllo delle infezioni, si siano infettati quelli appartenenti ad uno in particolare. Il reparto in questione aveva un particolare sistema di ventilazione ad alta efficienza energetica controllato da anidride carbonica. I filtri del sistema di ventilazione sono stati identificati come causa di trasmissione aerea dell’infezione. Dal punto di vista strutturale invece, sono risultate più suscettibili alla diffusione di COVID-19 le strutture in cui prevalevano gli open space rispetto a quelle con stanze separate, data la capacità del virus di percorrere lunghe distanze in ambienti poco arieggiati.
  • Collaborazione multidisciplinareMolti articoli (USA, Canada, Germania) descrivono la collaborazione delle strutture con gli ospedali, le organizzazioni di sanità pubblica e le cure primarie, con la finalità di fornire supporto sulle pratiche di prevenzione e controllo delle infezioni e incrementare la formazione e l’educazione del personale. Sebbene l’evidenza sull'efficacia risulti limitata, le strategie proposte includono gruppi di lavoro per educare rispetto alla prevenzione e il controllo delle infezioni, incontri giornalieri tra lo staff delle strutture e gli esperti in presenza o utilizzando la telemedicina e visite di controllo ufficiali da parte del servizio di sanità pubblica per il monitoraggio.  

Nella revisione sono anche segnalati rischi e associazioni inefficaci.

  • Caratteristiche delle strutture. Gli studi hanno analizzato dati provenienti da più strutture e hanno sottolineato che laddove il personale è più elevato numericamente (maggiori ore di assistenza per paziente) e più qualificato da un punto di vista di esperienza, vi è stata una minor quantità di casi di COVID. Le strutture con carenza di personale, invece, sono risultate più suscettibili. Inoltre, uno studio canadese inoltre ha correlato l’affollamento delle strutture con i casi d’infezione e di morte; le strutture con stanze occupate da più residenti sono risultate più suscettibili a focolai rispetto a quelle in cui i residenti occupano stanze singole.
  • Gestione del personale. Lo staff delle strutture di lungodegenza è la maggior fonte di rischio per i residenti. In particolare, gli studi indicano come maggior fonte d’infezione il personale che lavora per differenti strutture contemporaneamente. In più l’appartenenza del personale ad un sindacato sembra correlata ad un minor numero di infezioni e di morti, probabilmente grazie ad un più facile accesso costante ai DPI; ciò ha un esito positivo sui residenti.
  • Strategie inefficaci. Agli studi sono emersi come poco efficaci per la prevenzione dell’infezione e il conseguente scoppio di focolai, lo screening della temperatura e della sintomatologia in generale e l’esecuzione una tantum di tampone nasofaringeo. Altri studi hanno dimostrato la scarsa efficacia della somministrazione di idrossiclorochina come prevenzione dell’infezione. 
 
Gli studi raccolti nella revisione mostrano la debolezza e la criticità del sistema delle lungodegenze e delle case di cura in risposta alla pandemia e alla comparsa di focolai.

Sono identificate le pratiche di prevenzione dell’infezione ed altre iniziative volte al contenimento da impiegare all’interno delle strutture anche se con un’efficacia limitata.

Un’effettiva prevenzione e contenimento della trasmissione di COVID-19 richiede una risposta integrata e produttiva che coinvolge diversi portatori d’interesse. L’approccio deve essere multiplo e multidisciplinare e coinvolgere anche il livello organizzativo. 

Le strutture devono mantenere la consapevolezza del forte rischio per i residenti e per questo mettere in campo tutte quelle norme, comportamenti e raccomandazioni volte alla prevenzione e contenimento dell’infezione.

L’approccio assistenziale dovrebbe essere riconsiderato, privilegiando l’assistenza a coorti di pazienti. Anche l’ambiente di assistenza necessita di accorgimenti come quelli precedentemente descritti. 

Lo staff è potenzialmente uno dei maggiori veicoli di trasmissione dell’infezione ed è a sua volta esposto al rischio d’infezione durante l’assistenza.

La carenza di personale determina un esito negativo sul benessere dei residenti ed è legata ad una vulnerabilità maggiore rispetto a COVID-19.

Il personale ha necessità di essere formato e aggiornato sulle procedure di prevenzione e controllo delle infezioni e di essere supportato da specialisti.

Risultano inoltre indispensabili i DPI per la sicurezza di residenti e personale. A conferma, anche l’OMS ha pubblicato nel gennaio 2021 raccomandazioni provvisorie a cui attenersi, specifiche per le lungodegenze e le case di cura.

La revisione conclude elencando quelle che risultano essere le strategie più efficaci in materia di prevenzione e contenimento dell’infezione da COVID-19 e all’interno delle strutture di lungodegenza:
  • test seriati ai residenti e allo staff, soprattutto nelle comunità in cui vi è alta prevalenza
  • attenzione alla ventilazione degli ambienti e alla composizione (strutturazione) degli spazi
  • supporto digitale attraverso la telemedicina da parte di specialisti ed esperti del settore
  • adeguata gestione del personale, in particolare attraverso la formazione specifica
  • minor affollamento delle strutture in termini di residenti
  • personale numericamente adeguato all’assistenza.
È comunque necessario ribadire che la vaccinazione rimane il mezzo più efficace e consigliato per salvaguardare le persone fragili.


Per saperne di più:

consulta lo studio Protecting Nursing Homes and Long-Term Care Facilities From COVID-19: A Rapid Review of International Evidence pubblicato sulla rivista Jamda