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a cura di Agenzia regionale di sanità Toscana

Cure palliative nel fine vita: il rapporto OCSE Time for Better Care at the End of Life

08/05/2023
La pandemia dell’ultimo triennio ha contribuito a riportare alla ribalta, tra gli altri, il tema delle cure di fine vita
In realtà la questione è dibattuta da tempo, anche in ragione del processo di invecchiamento della società e dell’aumento delle cronicità, due fenomeni che insistono sul mutamento dei bisogni assistenziali e di governo delle cure, in particolare proprio nel fine della vita.
 
oecd time for better care at the end of lifeAd oggi nei paesi dell’OCSE è stimato che il 50% dei decessi riguardi persone di età pari o superiore agli 80 anni; dei 7 milioni di persone con bisogno di cure di fine vita, però, meno del 40% è riuscito a riceverle tempestivamente, almeno fino al 2019.

Questo dato deve allarmarci, se pensiamo che entro il 2050 gli anziani e i grandi anziani interessati da una o più cronicità per l’intera durata della loro vita sono stimati in 10 milioni. 

Ciò nonostante, l’attenzione politica alle cure di fine vita è insufficiente rispetto al suo impatto sulla società. 

Con queste premesse apre il rapporto Time for Better Care at the End of Life, realizzato dalla Direzione per l'occupazione, il lavoro e gli affari sociali dell'OCSE, denunciando la necessità di governare le cure di fine vita, anche in prospettiva futura. 

Nel rapporto vengono esaminate le politiche di assistenza di fine vita nei paesi dell’OCSE e lette secondo 4 dimensioni: accessibilità, centralità delle persone, qualità, finanziamento e governance.

Il rapporto sottolinea come nei paesi dell’OCSE l’accesso tempestivo alle cure di fine vita si assesti su livelli ancora troppo bassi; ciò accade per una commistione di fattori, tra cui la mancanza di personale specialistico domiciliare, l’insufficiente formazione dei professionisti, la pregnanza di pregiudizi sulle cure di fine da parte della comunità, ma anche la scarsità di strumenti di avvio precoce della presa in cura in questa fase.
A tal proposito sono citate estesamente nel documento alcune esperienze virtuose, che mostrano come l’adozione di alcuni modelli guidati da infermieri (in Australia) o di strumenti automatizzati di screening e di tempistiche per la valutazione (in Canada e negli Stati Uniti) facilitino l’accesso precoce all’assistenza nel fine vita. 

Ancora troppi decessi avvengono in ospedale e ciò malgrado le persone preferiscano morire nella propria casa. Questo aspetto tira in ballo altri temi trattati nel rapporto, quelli del rispetto dei desideri della persona malata e della qualità dell’assistenza erogata, ad oggi troppo orientata al prolungamento piuttosto che al miglioramento della qualità della vita.
Circa un terzo dei pazienti anziani ricoverati in ospedale nella fase finale della vita riceve un trattamento aggressivo, che non è in grado di fornire conforto o prolungare la vita stessa.
I pazienti e i loro familiari sono ancora troppo spesso esclusi dalle decisioni riguardanti le cure, il che contribuisce in maniera importante a sottovalutare la necessità di erogare interventi di sollievo: si contano tra il 10% ed il 25% le persone decedute di età pari o superiore ai 65 anni che hanno ricevuto troppo pochi antidolorifici, aiuti nella respirazione o contro l'ansia.

Del resto, nel rapporto viene sottolineato che l'assistenza alla fine della vita soffre anche di carenze di finanziamento e mancanza di politiche basate sulla ricerca. I sistemi pubblici forniscono una copertura parziale delle spese sostenute per alleviare i sintomi del fine vita, con ricadute in termini di spese vive elevate e forte dipendenza dai familiari. 

La ricerca sulle cure di fine vita è insufficiente, anche rispetto all’impegno di spesa che i sistemi sanitari sostengono con la carenza di accesso precoce alle cure nel fine vita.
I dati provenienti da Belgio, Canada e Stati Uniti mostrano che l'accesso alle cure palliative al di fuori delle strutture ospedaliere ha ridotto l'uso delle unità di terapia intensiva, i farmaci e le spese sanitarie complessive. Belgio, Irlanda, Francia e Paesi Bassi, ad esempio, hanno sviluppato solide organizzazioni a sostegno della ricerca sulle cure palliative.

Quindi il ruolo delle politiche basate sulla ricerca e della politica in sé risulta inevitabilmente prioritario nel dare rilevanza a questo tema.

Le conclusioni a cui il rapporto giunge sono riassumibili come segue: 
  • Troppe persone ricevono cure scadenti nei loro ultimi giorni o mesi di vita. L'accesso ai servizi è spesso insufficiente e diseguale, soprattutto a casa.
  • I professionisti spesso non discutono le scelte che garantiscono alle persone un fine vita dignitoso e le loro preferenze di cura sono raramente registrate.
  • L'assistenza fornita alla fine della vita spesso non riesce ad alleviare le sofferenze delle persone e a limitare i trattamenti non necessari.
  • I costi alla fine della vita sono elevati sia per le casse pubbliche che per le famiglie, pur non garantendo necessariamente la qualità della vita, e ci si chiede quali diversi modelli di assistenza potrebbero migliorare i risultati per i pazienti riducendo i costi.
  • Mettere l'assistenza di fine vita in cima all'agenda politica e attuare una serie più completa di interventi renderebbe il fine vita un'esperienza più significativa e umana per le persone e i loro familiari e migliorerebbe i risultati ottenuti per le risorse investite.


Per saperne di più:

OECD (2023). Time for Better Care at the End of Life. OECD Health Policy Studies, OECD Publishing, Paris