Età, prossimità al decesso e spesa sanitaria
L’analisi delle banche dati della farmaceutica ha permesso di riscontrare come siano i deceduti – piuttosto che i sopravvissuti – ad utilizzare costantemente più farmaci, specialmente negli ultimi 6 mesi di vita.L’età del paziente in prossimità del decesso non avrebbe alcuna relazione con l’incremento dei trattamenti sostenuti nella vicinanza dell’ineluttabile.
Confutare l’età come driver delle spesa sanitaria non è cosa banale, soprattutto perché tale operazione innesca tutta una serie di nuove considerazioni sulla mortalità nell’ambito delle previsioni di spesa.
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Questo monologo potrebbe essere estrapolato da un dialogo virtuale tra un programmatore sanitario e gli autori dell’articolo pubblicato su Social Science and Medicine[1] a fine aprile scorso. Gli autori, che appartengono alla prestigiosa istituzione del Trinity College di Dublino, hanno intitolato il lavoro: “Considerare il tempo vissuto, il tempo rimanente o la malattia? L’età, la prossimità al decesso, la morbilità e le spese prescrittive”.
L’obiettivo dello studio è quello di comprendere cosa veramente guidi le spese di prescrizione dei trattamenti farmacologici nel fine vita, cercando di creare una (prima) base informativa utile a stimare le prospettive di investimento per le cure, non solo per acuti o per le cronicità, ma anche a livello di territorio, e a pianificare l’assistenza. Alla base dello studio vi è un’analisi empirica delle spese pubbliche per i trattamenti medici per la popolazione irlandese più anziana (individui di età superiore ai 70 anni), mirata alla comprensione di quali siano le variabili a maggior impatto sulla spesa sanitaria nella prossimità della morte.
L’analisi delle banche dati della farmaceutica tra il 2006 e il 2009 ha permesso agli autori di riscontrare come siano i deceduti – piuttosto che i sopravvissuti – ad utilizzare costantemente più farmaci, specialmente negli ultimi 6 mesi di vita, confermando un’evidenza statistica tutt’altro che nuova nell’ambito della letteratura internazionale. Il valore aggiunto dello studio, però, sarebbe un altro. Più che una significatività, l’attenzione viene posta su una “non-significatività” statistica. Questo sarebbe vero anche considerando le morbilità del paziente, le cui misure, tuttavia, richiedono di essere migliorate per produrre stime più solide.
Confutare l’età come driver delle spese di prescrizione non è cosa banale, soprattutto perché tale operazione innesca tutta una serie di nuove considerazioni sulla mortalità nell’ambito delle previsioni di spesa.
Facciamo però un passo indietro. Il ragionamento standard è piuttosto lineare: l’invecchiamento è frequentemente associato all’incremento dei costi dell’assistenza grazie ai maggiori bisogni, mentre non è del tutto definita la questione
su quali costi siano associabili alle persone in prossimità del decesso.
Secondo gli autori, comprendere quali siano i trattamenti prescritti e quale sia il loro impatto in quest’ambito aiuterebbe i policy-maker a sviluppare nuove politiche per il controllo della spesa futura sui farmaci prescritti grazie a previsioni più precise. Infatti, quando si tenta di tenere conto delle morbidità di un individuo, la prossimità del decesso rimane un predittore particolarmente importante delle spese per le prescrizioni, soprattutto per prevenire una loro sovrastima.
La sovrastima, in particolare, riguarderebbe la tendenza a considerare i più anziani tra gli anziani, probabilmente più malati, ad usufruire, in prossimità del decesso, di trattamenti più numerosi ed onerosi. Lo studio irlandese tuttavia mostra come in realtà il “costo del morire” (the cost of dying nella versione originale) declini all’aumentare dell’età, tanto che il valore dell’obolo[2] pagato dagli ultra novantenni a Caronte sia, in media, inferiore di 1,3 volte di quello corrisposto dai 72 – 74enni in prossimità dell’Acheronte.
Ecco perché, secondo gli autori, un modello di proiezione di spesa basato come in questo caso su una coorte di prescrizioni dovrebbe concentrarsi sull’ultimo anno di vita delle persone ovvero nel momento in cui, indipendentemente dall’età, l’ “effetto Proximity to death” è più marcato causa maggiore morbilità, di cui tale effetto è evidentemente una proxy, un predittore.
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A quel punto, Patrick V. Moore, Kathleen Bennet e Charles Normand usciranno presumibilmente dal dipartimento di Sanità in Hawkins Street, e voltando le spalle alla Liffey si incammineranno a passo lento verso Pearse Street. Qui gireranno a sinistra e passeggeranno lungo quella via, la stessa percorsa in direzione inversa dalla carrozza di Leopold Bloom, l’Ulisse dublinese che la mattina del 16 giugno 1904 accompagnava il corteo funebre dell’amico Patrick Dignam, padre di famiglia, deceduto nei torpori dell’alcol in modo non del tutto prevedibile, ma soprattutto senza aver gravato sul bilancio sanitario.
di: Giacomo Galletti (Ars Toscana) su Saluteinternazionale.info
Bibliografia
- Moore PV, Bennett K, Normand C. Counting the time lived, the time left or illness? Age, proximity to death, morbidity and prescribing expenditures. Social Science & Medicine 2017; 184: 1-14
- Nell’antica Grecia, l’obolo era uno spicciolo di scarsa importanza valutaria (valeva un sesto di una Dracma) ma di alto valore simbolico: era la moneta attraverso la quale l’anima del defunto poteva essere traghettato oltre l’Acheronte per raggiungere l’Ade
- Zhang B, Wright AA, Huskamp HA et al. Health Care Costs in the Last Week of Life Associations With End-of-Life Conversations. Arch Intern Med 2009;169(5):480-488.