Valore in RSA

novità dal network delle RSA toscane

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a cura di Agenzia regionale di sanità Toscana

Comunicare la vaccinazione, una questione di fiducia


Disastri comunicativi ed esitanze vaccinali

«Facciamo finta che venga trovato un legame e i 18 decessi siano dovuti al vaccino: cosa facciamo?», si domanda Enrico Bucci nell’intervista recentemente pubblicata sulla rivista online Open a proposito dei presunti legami del vaccino anti Covid19 di AstraZeneca (Vaxzevria) con casi estremamente rari di trombosi. Il docente della Temple University di Philadelphia invita a considerare che 18 decessi su 86 casi sospetti su 27 milioni di dosi somministrate vorrebbe dire che « in tre mesi potremmo avere 180 morti, un numero estremamente basso rispetto ai decessi causati ogni giorno dal coronavirus in Italia.»

Quante di queste morti, poi, potrebbero essere evitate proprio dall’inoculazione del vaccino? «Trombosi? C’è più rischio a prendere l’aereo», commenta laconicamente il professore ordinario di microbiologia all’Università di Padova Andrea Crisanti, dalle colonne virtuali della stessa rivista, che sempre a proposito di vaccini ospita il parere di Giovanni Maga, direttore del laboratorio dell’istituto di Genetica molecolare del Cnr di Pavia. Quest’ultimo, sottolinea come, lontani dai successi vaccinali conseguiti nel Regno Unito, «noi stiamo già soffrendo le conseguenze del disastro comunicativo su AstraZeneca, l’esitazione delle persone cui viene offerto questo farmaco aumenta».

Sugli aspetti specifici dell’esitazione vaccinale, per i quali più di un italiano su tre temerebbe gli effetti avversi dei vaccini anti-Covid-19, interviene nel dibattito la professoressa Guendalina Graffigna, ordinario di Psicologia dei consumi e della salute all’Università Cattolica: «più che aver spostato le intenzioni astratte verso la vaccinazione, i recenti fatti di cronaca legati al vaccino AstraZeneca hanno portato gli italiani a fare i conti con una difficile equazione psicologica tra “costi” e “benefici” del vaccino; una bilancia decisionale tutt’altro che razionale, in cui le ragioni della scienza sembrano scontrarsi, o mischiarsi, con le valutazioni idiosincratiche e psicologiche dei cittadini» .

Il tema dell’esitanza come fattore condizionante l’efficacia delle campagne vaccinali non è un tema né nuovo né limitato al nostro contesto nazionale. Una recente “Revisione sistematica concisa” pubblicata a metà febbraio sulla rivista Vaccines raccoglieva i tassi di accettazione dei vaccini Covid-19 in 33 paesi del mondo. I tassi apparivano particolarmente alti in Ecuador (97%), Malesia (94%), Indonesia (93%) e Cina (91%), e particolarmente bassi in Kuwait (24%), Giordania (28%), Italia (54%), Russia (55%), Polonia (56%), Stati Uniti (57%) e Francia (59%).

Al di là delle differenti propensioni nazionali, è chiaro che le campagne vaccinali devono essere in grado di confrontarsi adeguatamente con l’esitanza vaccinale, e per farlo i soggetti promotori devono dotarsi di strumenti efficaci. In primo luogo gli strumenti della comunicazione, come la vicenda AstraZeneca, che ormai viene percepito come una sorta di “vaccino di serie B” , ha ampliamente dimostrato.


Linee guida e riferimenti per impostare una campagna vaccinale efficace

È chiaro a questo punto che gli aspetti inerenti a come comunicare la vaccinazione diventano rilevanti all’interno della programmazione delle campagne vaccinali. I riferimenti utili ad avere indicazioni sulle tecniche di comunicazione efficaci in questo contesto iniziano ad essere diversi, e a tal proposito si rimanda alla consultazione dei contributi di Valigia Blu, Scienza in rete e, per quanto riguarda le pubblicazioni in lingua inglese, al COVID-19 Vaccine Communication Handbook. Il documento che tuttavia ci sembra più completo in tema della comunicazione della vaccinazione si chiama A communicator's guide to Covid-19 vaccination. Research, Theories, Models, and Recommendations Communicators Should Know pubblicata lo scorso dicembre dall’organizzazione nonprofit Institute for Public Relations, di Gainsville, presso l’University of Florida.

I 17 punti per una comunicazione vaccinale efficace riportati dalla guida (in lingua inglese) raccolgono un po’ tutti i contributi precedentemente segnalati, ma non sono l’unica cosa intrigante del documento, che si compone di sezioni molto interessanti sia per la definizione dei concetti cui la guida fa riferimento che per i modelli e le teorie a sostegno delle indicazioni operative.

Descrivere i diciassette punti nel dettaglio non è però oggetto di questo articolo, sia per questioni di lunghezza, sia perché una rassegna delle indicazioni è stata fatta da altri in modo peraltro estremamente chiaro ed efficace; a tal proposito raccomandiamo di leggere il resoconto di E. Barbera e E. Tosco per conto del Centro regionale di documentazione per la promozione della salute della Regione Piemonte (DORS).

L’approccio che qui invece adotteremo è quello di concentrarci su quegli argomenti che, all’interno dei 17 punti della guida, sono efficaci nel consolidare quello che l’Organizzazione mondiale di sanità (OMS) considera uno dei tre pilastri dell’adesione vaccinale: il rapporto di fiducia tra il cittadino, il vaccino e “chi lo comunica”.

Una comunicazione che rafforza la fiducia

L’OMS sostiene che la propensione delle persone a vaccinarsi si basa sul cosiddetto modello delle “tre C”:
  • Confidenza (confidence), ovvero la fiducia nell’efficacia e nella sicurezza dei vaccini, nel sistema sanitario e nelle motivazioni istituzionali a supporto della necessità di vaccinarsi
  • Compiacimento (complacency), ovvero il grado di autoconvinzione rispetto all’opportunità di vaccinarsi in relazione al livello percepito del rischio
  • Comodità (convenience), ovvero in relazione alle opportunità e alle barriere rispetto all’accessibilità (fisica, organizzativa e finanziaria) della vaccinazione.
È piuttosto intuitivo come una campagna che investa sul compiacimento e sulla comodità della vaccinazione, ma che sia promossa da soggetti o istituzioni che non ispirino confidenza e che non siano in grado di ispirare fiducia nella popolazione, non sarebbe in grado di raggiungere la massima efficacia.

Quello della vaccinazione peraltro è un tema complesso, che coinvolge aspetti emotivi e comportamentali, nell’esprimere valutazioni che ne bilancino i rischi positivi e negativi e che si traducono poi nella seconda C, il compiacimento.

Ne deriva che non si può costruire un rapporto di fiducia se si ignorano gli atteggiamenti e le sensibilità più intime delle persone in relazione alla salute propria e dei propri cari. Il quarto dei 17 punti della Communicator’s guide, così come riportato dal Dors, dice che “comprendere le intenzioni comportamentali delle persone, capire cosa pensano e cosa provano e quali sono i determinanti del cambiamento di comportamento, può determinare il successo o il fallimento di una campagna di comunicazione.” È in questa chiave particolare che va (ri)letta l’affermazione precedentemente citata della professoressa Graffigna che invita a considerare la “equazione psicologica tra “costi” e “benefici” del vaccino; una bilancia decisionale tutt’altro che razionale, in cui le ragioni della scienza sembrano scontrarsi, o mischiarsi, con le valutazioni idiosincratiche e psicologiche dei cittadini.” In termini di fiducia, ma anche di “compiacimento” nella comparazione dei rischi, queste indicazioni vanno nella direzione di una vera e propria presa in carico dei bisogni informativi e delle aspettative delle persone che possano sentirsi esposte ad un rischio, in modo da poter rispondere con una comunicazione adeguata e sensata, coerente con i pesi posti sui piatti della loro bilancia decisionale.

Non è un’operazione scontata. Rispondere ai bisogni informativi in modo efficace significa aver ben presente il target, ovvero le caratteristiche della popolazione cui la comunicazione si rivolge, in relazione agli aspetti culturali e socio demografici degli specifici gruppi o comunità. È per questo che le tecniche e i modelli della comunicazione diventano importanti nel differenziare i messaggi in modo che possano essere compresi a fondo.

In questo contesto, le strategie comunicative possono prevedere la possibilità di fare leva sulle storie e gli aneddoti positivi sulle esperienze vaccinali, più efficaci dell’asettica indicazione di numeri e statistiche che alcuni gruppi di popolazione potrebbero non comprendere a fondo.

Fiducia, esitanza e trasparenza

Un aspetto critico della promozione vaccinale può essere rappresentato dalla comunicazione nei confronti delle persone che mostrano una forte propensione a valutare i rischi negativi derivanti dai possibili, per quanto marginalmente probabili, effetti collaterali della vaccinazione, come abbiamo visto nella parte introduttiva. Una comunicazione che trascuri di dare conto degli aspetti negativi della vaccinazione, per quanto irrisori possano risultare, può indurre la percezione di opacità del messaggio, e compromettere la fiducia stessa verso il comunicatore.

Per questo motivo principalmente, la trasparenza nell’informazione risulta essenziale nel rafforzare la fiducia verso i soggetti che promuovono la vaccinazione: l’informazione sui possibili effetti indesiderati dovuti al vaccino deve permettere una tempestiva e chiara contestualizzazione del problema, nell’accortezza di evitare tanto le eccessive semplificazioni, quanto spiegazioni particolarmente tecniche.

Nei contesti caratterizzati da particolare pregiudizio e disinformazione, diventa fondamentale la capacità di ascolto, specialmente verso quelle specifiche modalità attraverso cui i gruppi che professano la loro contrarietà ai vaccini propongono gli argomenti in grado di propagare sfiducia e scetticismo. In questi casi, più che rispondere con il cosiddetto debunking per dimostrare l’irrilevanza delle tesi proposte, è più opportuno completare l’informazione ricorrendo ai già citati esempi positivi. Lo scetticismo e la paura va confortata, non contrastata e sminuita.

Fiducia e autorevolezza del comunicatore

Non solo la forma e il contenuto della comunicazione concorrono però a consolidare la confidenza e la fiducia nella vaccinazione. Anche i soggetti che promuovono una campagna vaccinale hanno il loro peso in tal senso. In particolare, grazie alla fiducia di cui tradizionalmente godono presso la popolazione generale, gli operatori sanitari – medici e infermieri – sono indicati come la fonte più autorevole da cui apprendere l’importanza della vaccinazione.

Se ci si riferisce invece a gruppi specifici di popolazione, o comunità, può essere utile individuare i corrispettivi “opinion leader” e “influencer” che grazie alla propria credibilità possono trasmettere la fiducia nel vaccino in un particolare contesto. 

Per quanto riguarda invece le istituzioni pubbliche e le organizzazioni scientifiche, l’autorevolezza è consolidata dal diffonderein modo coordinato - indicazioni chiare e univoche. Un chiaro esempio del fallimento di questo proposito e di ciò che ne è scaturito è quanto raccontato nella parte introduttiva dell’articolo a proposito del “disastro comunicativo” che ha portato molte persone ad esitare di fronte all’opportunità di vaccinarsi con il vaccino AstraZeneca.

Fiducia, contenuto e relazione

Sulla base delle indicazioni raccolte, e in particolare dai riferimenti all’attenzione, all’ascolto e alla calibratura dei messaggi a seconda dei gruppi di popolazione che si considerano come interlocutori, potremmo azzardare la tesi che una campagna di comunicazione che consolidi la fiducia tanto nei confronti dell’efficacia dei vaccini quanto nei confronti dei promotori della campagna stessa si basi sulla relazione. In altri termini, parlare di “relazione comunicativa per l’adesione vaccinale” potrebbe essere più appropriato che parlare soltanto di “comunicazione per l’adesione vaccinale”.

“Ogni comunicazione ha un aspetto di contenuto e un aspetto di relazione” recita il secondo degli assiomi di Watzlavik che hanno modificato in modo radicale la psicologia contemporanea , ed è su entrambi gli elementi quindi – contenuto e relazione – che si costruisce il rapporto di fiducia. La relazione va peraltro intesa, come abbiamo visto, in senso bidirezionale, partendo dalla fase dell’ascolto per procedere poi all’elaborazione di un messaggio adattato alle caratteristiche del destinatario, coerente con l’obiettivo informativo specifico, coordinato nella condivisione ed inclusivo negli intenti.

Legare, costruire, mettere in comune, rendere partecipi

Comunicare, in conclusione, non è mai un’operazione banale e scontata, ma è un’attività che, per ancorarsi stabilmente al sostegno della fiducia, richiede conoscenza, competenza, dedizione e disponibilità di relazione. Le linee guida citate in questo articolo sembrano spingere proprio in questa direzione, e un aspirante comunicatore accorto e consapevole non può prescindere dalle indicazioni proposte. O forse, in parte, può. Perché la lezione alla base di ogni ragionamento in ambito di comunicazione risiede, banalmente, nella parola stessa, nel suo stesso significato etimologico derivato dal latino cum munire - ovvero legare, costruire, - e communico, cioè mettere in comune, rendere partecipe.

Come scriveva Watzlavik, ancora una volta: contenuto e relazione.


Articolo a cura di Giacomo Galletti, ARS Toscana
Immagine realizzata da Claudia Gatteschi, comitato di redazione di valoreinrsa.it, ARS Toscana