Valore in RSA

novità dal network delle RSA toscane

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a cura di Agenzia regionale di sanità Toscana

Report ISS. Assistenza sociosanitaria per anziani non autosufficienti: riflessioni bioetiche e biogiuridiche. Pillola n.1

Nel mese di marzo l’Istituto Superiore di sanità ha pubblicato il Rapporto ISS Covid-19 n. 6/2021 dal titolo Assistenza sociosanitaria residenziale agli anziani non autosufficienti: profili bioetici e biogiuridici (a cura del Gruppo di lavoro Bioetica ISS Covid-19), con l’obiettivo di proporre una riflessione etico-giuridica sulla tutela delle persone residenti all’interno dei presidi socio-sanitari attraverso la prospettiva dei diritti fondamentali.


Come è strutturato il Report ISS?

Nella prima parte, oltre a una descrizione del sistema nazionale di assistenza agli anziani non autosufficienti, vengono presi in esame i loro diritti con riferimento al sistema giuridico italiano. Inoltre, viene descritta e analizzata, dal punto di vista bioetico, la situazione di dipendenza della persona anziana, a partire dai principi e dalle priorità delineati nel 2006 dal Comitato Nazionale per la Bioetica.
Nella seconda parte del documento invece vengono affrontate alcune tematiche di bioetica clinica relative al contesto dell’assistenza medica e infermieristica nelle strutture sanitarie residenziali. Infine viene proposta una Carta dei diritti dell’anziano con particolare riferimento alla “Carta Europea dei diritti e delle responsabilità delle persone anziane che hanno bisogno di cure a lungo termine” dell’AGE Platform Europe.

Il documento è molto complesso e contiene tanti spunti e riflessioni interessanti, perciò pensiamo di creare una serie di approfondimenti, come Pillole, su alcuni paragrafi. Questo di oggi è relativo alla prima parte, cioè all'introduzione, al primo paragrafo dedicato alla descrizione e agli obiettivi del lavoro. Nelle prossime settimane proseguiremo a commentare e riflettere con voi su altri capitoli del report.

Descrizione e obiettivi del documento 

L’esperienza della pandemia ha tragicamente evidenziato la crisi dei modelli attuali di residenzialità per anziani non autosufficienti, che, da luoghi di protezione e cura dei soggetti più vulnerabili, sono divenuti luoghi di diffusione dell’epidemia e, in alcuni casi, di isolamento e abbandono delle persone prese in carico. Inoltre, i dati sulla pandemia nella popolazione generale sono certamente gravi, e diventano tragici se riferiti alla popolazione fragile quale quella anziana.
Le persone anziane, così come i disabili, che vivono nelle residenze hanno vissuto e stanno vivendo in uno stato di segregazione “protettiva” da lungo tempo. La chiusura delle RSA iniziata nel marzo 2020, ha visto un relativo alleggerimento durante l’estate, ma è sostanzialmente proseguita fino al mese scorso. L’isolamento sociale, la mancanza delle relazioni affettive sta generando in tutta la popolazione una sofferenza psicologica importante, che negli anziani delle RSA può essere ancora più incisiva, se si pensa all’importanza delle reti familiari ed amicali, sia sull’umore che sul mantenimento delle funzioni cognitive.

Gli autori del report, nei primi paragrafi del documento accennano all’importanza di rivedere la fisionomia dei modelli abitativi per la terza età considerando:
  • l’aspetto politico-sociale delle scelte da affrontare
  • quello clinico rispetto alla qualità e l’appropriatezza delle cure
  • quello etico-giuridico riferito al perseguimento del bene di ciascuno e al riconoscimento e tutela dei suoi diritti.
Questi tre piani sono spesso considerati separatamente, ciascuno con punti di vista validi ed importanti, ma incompleti se non vengono fatti colloquiare reciprocamente. Un approccio clinico appropriato, così come le scelte politico-sociali, rischiano di naufragare se non si considerano le scelte di vita, le aspettative di ciascun individuo rispetto al proprio benessere e alla propria felicità.
Per quanto il documento si riferisca in particolar modo alle persone anziane istituzionalizzate, l’istituzionalizzazione rappresenta un rischio per tutti coloro che si trovano a vivere all’interno di una struttura.

Gli autori aggiungono che sarà probabilmente necessario prevedere un’eventuale “compressione e limitazione dei diritti generata dalle circostanze emergenziali,” qualora si ripresenti una situazione di reale ed imminente pericolo come quella vissuta in questo ultimo anno e mezzo. In questa frase s’intravede la preoccupazione che una situazione eccezionale, giustificata dalla necessità di proteggere, divenga una prassi. Questo passaggio è fondamentale, perché non può mai essere legittimata la limitazione dei diritti fondamentali della persona, e l’emergenza pandemica deve rimanere un’eccezione necessaria ma da biasimare.

L’accenno che viene fatto sull’azione di vigilanza e controllo da parte del Garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, sembra indicare anche l’importanza di riconoscere il rischio di violazioni dei diritti degli individui quando l’istituzionalizzazione e l’isolamento diventano la normalità, soprattutto in mancanza di persone di riferimento/controllo. Di fatto la struttura deve avere il compito di valorizzare le capacità residue e il diritto di scelta, ed il sistema deve riuscire a monitorare, con indicatori adeguati, la qualità dell’assistenza, ma potremmo aggiungere, la qualità della vita di ciascuna persona.

Il primo assunto espresso nel documento dal quale non è possibile prescindere è che “qualunque forma di istituzionalizzazione, per via del carattere di totalità della presa in carico, può porre a rischio sia la salvaguardia adeguata di beni essenziali sia il rispetto dei diritti (anche) fondamentali delle persone assistite”.
La persona anziana che vive in RSA, ma anche tutti coloro che abitano in strutture residenziali di comunità, lasciano la loro vita precedente pressoché per sempre. L’ingresso in struttura comporta il dover abbandonare, oltre che le proprie case e molta parte dei propri averi, le proprie abitudini, la libertà di movimento e scelta, ma anche le relazioni affettive ed i punti di riferimento sociale. La segregazione è inevitabile. Per quanto una struttura possa essere personalizzata o aperta, non consentirà mai la piena espressione della libertà di movimento, di relazione e soprattutto di autodeterminazione del singolo individuo. Le persone si adeguano ad un sistema di regole di convivenza, che coinvolgono tutti gli aspetti e i momenti di vita: alzarsi, mangiare, leggere, guardare la televisione, ricevere visite, vestirsi, tutto deve essere concordato.  Alcune esperienze non avverranno mai: cinema, teatro, ristorante,vacanza.

Gli autori vedono nella “totalità della presa in carico”, il rischio di violazione dei diritti fondamentali.  
Da molti anni la presa in carico è fortemente auspicata, dove per presa in carico si intende l’assunzione su di sé in modo intenzionale della responsabilità di programmare e gestire un intervento o una situazione/processo, utilizzando strumenti e risorse per risolvere il problema e superare gli ostacoli, che la persona da sola non è in grado di gestire. Questa presa di responsabilità supporta la persona là dove non è più in grado di risolvere un problema, e corrisponde per coloro che si trovano in difficoltà un punto di riferimento nonché una risorsa indispensabile.

E’ l’approccio fondante di tutte le professioni di aiuto ed è ciò che riempie un vuoto in coloro che hanno bisogno. Un vuoto che non è solo organizzativo o gestionale, non è solo la mancanza di una prestazione, ma anche e forse soprattutto relazionale: se hai bisogno, io ci sono. Ad esempio l'Infermiere s’impegna a sostenere la relazione assistenziale anche qualora la persona assistita manifesti concezioni etiche diverse dalle proprie. L'infermiere si può avvalere della clausola di coscienza, ricercando costantemente il dialogo con la persona assistita, le altre figure professionali e le istituzioni.

Come mai allora secondo gli autori la presa in carico può generare il rischio di ledere i diritti fondamentali di un individuo?  Il documento non approfondisce questa riflessione, ma si può supporre che sia l’aggettivo “totale” ad indicare la forma di presa in carico a rischio ovvero quando invade tutte le dimensioni della vita della persona.

In relazione al contesto specifico che abbiamo vissuto durante la pandemia, la presa in carico è stata giustificata dall’emergenza. L’altissimo rischio intrinseco nella fragilità della popolazione anziana non autosufficiente ha imposto il controllo totale e l’assunzione di procedure non facoltative ma obbligatorie. La chiusura da e verso l’esterno, la deprivazione delle relazioni sociali, la necessità di limitare i rapporti anche all’interno della struttura, per ridurre gli assembramenti e proteggere reciprocamente operatori e residenti, la necessità di indossare dispositivi di protezione individuale e di conseguenza essere circondato da persone spesso irriconoscibili, sono tutti elementi che hanno esasperato l’aspetto totalitario della presa in carico.

E’ adesso di vitale importanza comprendere che questo approccio non è la normalità, ma l’eccezione. La speranza è che l’esperienza della pandemia non venga in qualche modo sprecata, ma ci fornisca una preziosa lezione. Per il futuro dobbiamo prevedere strumenti e strategie adeguate a garantire la tutela di tutti gli individui.


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